Scommetto che vi è venuta la pelle d’oca a sentir parlare di egoismo la sera di Natale, neppure aveste sentito un gesso stridere sulla lavagna.
Eh già, l’egoismo sta allo spirito del Natale come il celeberrimo cavolo sta alla merenda!
Ma non dovete dimenticare le mie vaghe origine germaniche! Non è detto infatti che su al Nord il cavolo e la merenda…
Comunque sia, bando alle ciance e torniamo all’egoismo natalizio. Niente paura, non mi sono trasformata all’improvviso nella versione femminile di Mr. Scrooge, né oso illudermi che questo breve racconto di vita vissuta sia all’altezza di Charles Dickens e del suo Canto di Natale. Il fatto è che un paio di giorni fa ho scoperto che l’egoismo fa bene. L’egoismo è portatore sano di felicità.
Scandalizzati?
Lasciate che vi spieghi, spero che dopo cambierete idea e vorrete essere egoisti anche voi.
Esattamente il 24 dicembre dello scorso anno mi trovavo in piazza Gae Aulenti a Milano. Mancavano poche ore alla Vigilia, la piazza era sfavillante di luci e colori, l’aria piena degli aromi del vin brulé in vendita nelle casette di legno del mercatino di Natale e delle strida dei bambini innervositi e stanchi nei passeggini spinti di malavoglia da genitori esausti a caccia dell’ultimo regalo. Altrettanto stanca ero io, stanca e concentrata sulla lista dei troppi “pensierini” ancora da comprare, con un occhio al budget smunto come uno che ha esagerato con la dieta e la voglia di trovare qualcosa di speciale per ognuno dei miei cari. L’umore un po’ in cantina, come spesso capita nei giorni di Natale a noi single per scelta (degli altri). Chissà perché, proprio quando senti più forte il bisogno di avere un compagno accanto con cui condividere il senso vero di questa festa, i tuoi occhi non vedono altro che coppie felici intente a scambiarsi effusioni così sdolcinate da far schizzare la glicemia all’altezza del puntale dell’abete in piazza Duomo. O peggio ancora teneri bambini imbacuccati come orsacchiotti della Walt Disney. Sta di fatto che quell’atmosfera da film americano e la stanchezza accumulata mi stavano mettendo di cattivo umore.
Per di più un’onda sempre più alta di domande fastidiose e inopportune montava dentro di me a ogni metro che guadagnavo tra la folla, a ogni passante che scansavo, a ogni spintone scortese e indifferente che ricevevo.
Che senso aveva tutta quella frenesia? A chi serviva? Era solo commercio ammantato di buonismo, che avrebbe lasciato ognuno di noi con molti soldi in meno e qualche illusione in più di aver onorato quell’ennesimo Natale senza neve. All’improvviso mi sembrava che niente più avesse senso. Lo spirito del Natale che mi aveva animata fino a poche ore prima era scomparso. Forse si era smarrito tra la gente in coda nei centri commerciali, oppure non aveva fatto in tempo a scendere con me dal treno affollato della metropolitana.
Sta di fatto che ero fermamente decisa a tornare a casa, lontana da quella folla rumorosa e invadente.
Ormai avrete capito che quando mi metto in testa qualcosa non conosco ostacoli. Mi trovavo esattamente in fondo alla piazza e avrei dovuto attraversarla tutta prima di guadagnare la strada per la metropolitana che mi avrebbe portata in salvo fuori da quella bolgia. Iniziai a slalomare tra la gente con la maestria di Deborah Compagnoni ai tempi d’oro e avevo raggiunto vittoriosamente il centro della piazza senza travolgere neppure un paletto, pardon… un passante, quando una valanga azzurra bloccò la mia corsa.
Un ragazzone alto e allampanato e dalla faccia simpatica mi si era piazzato davanti e mi stava rivolgendo un sorriso cordiale. Ecco, questo è il trentanovesimo promoter che incontro da stamattina, riflettei, chiedendomi se avrebbe cercato di vendermi un aspirapolvere o l’abbonamento alla palestra per VIP. La cartella che stringeva al petto infatti non mi permetteva di riconoscere il logo sulla casacca azzurra che indossava sul cappotto. Cercai di superarlo contraccambiando il suo bel sorriso con una smorfia degna delle migliori emiparesi facciali, ma la gente intorno a noi sembrava averci racchiuso in una bolla d’aria, nella quale galleggiavamo solo io e lui e dalla quale non riuscii a fuggire. Lui ne approfittò per allungare la mano e presentarsi. Non registrai il suo nome, forse Roberto, forse Matteo, perché la mia attenzione a quel punto era totalmente focalizzata sul logo che ora riuscivo a vedere sul suo cappotto. Casino, grande casino! Questo non era un venditore di pentole a pressione, ma di sensi di colpa!
Beh, l’avrete capito. Matteo, o Roberto, o come diavolo si chiamava l’ostacolo che mi separava dal divano di casa sul quale anelavo trascorrere quella Vigilia, era un rappresentante di un’associazione umanitaria. Per la precisione dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Oddio, io vado sempre in crisi in queste situazioni. Riesco a uscire vittoriosa dagli scontri con quelli che mi vogliono vendere gli abbonamenti a internet e i condizionatori, ma questa qui era tutta un’altra storia. Lui, bravo ragazzo ma venditore ancora migliore, deve avermi inquadrata in una frazione di secondo perché, senza che me ne rendessi neppure conto, dopo poco mi stava illustrando l’attività dell’UNHCR, la più grande organizzazione umanitaria al mondo, impegnata da oltre sessant’anni a salvare vite umane e a proteggere i diritti di milioni di rifugiati, di sfollati, di donne, vecchi e bambini che fuggono fame e tirannie in cerca anche della più infinitesimale possibilità di sopravvivenza.
Mano a mano che lui parlava, io passavo dal senso di vergogna per le mie umane piccolezze all’ammirazione per gli anonimi operatori dell’UNHCR che nel volgere di poche ore sono in grado di intervenire anche nelle situazioni più drammatiche, portando soccorso e conforto ovunque ce ne sia bisogno.
Il mio incontro con Roberto-Matteo durò una ventina di minuti, al termine dei quali io ero diventata un Angelo dei Rifugiati, sottoscrivendo una donazione mensile di poche decine di euro, con le quali avrei dato il mio contributo a portare sollievo a chi ha problemi ben maggiori che la scelta di un regalo di Natale da comprare in un negozio affollato.
Il tragitto verso casa fu più leggero di quanto avessi temuto quando avevo deciso che ne avevo le tasche piene dello shopping natalizio. Nei giorni successivi mi chiesi spesso se avessi sottoscritto la donazione per alleviare la mia coscienza e comprare con un tot al mese l’assoluzione dal vero peccato capitale di questa nostra società: l’indifferenza agli orrori, l’assuefazione alle brutture. Basta che una cosa qualsiasi, anche la più terribile, passi sui nostri canali tv per una decina di giorni, per perdere la capacità di farci indignare. Giunsi alla conclusione che lo avevo fatto per egoismo. Essere un Angelo dei Rifugiati mi faceva stare bene illudendomi di essere migliore della massa, e ditemi voi se non è egoismo questo!
Dopo un paio di mesi dal mio incontro con Roberto-Matteo ricevetti con la posta una lettera con la quale mi si dava il benvenuto ufficiale tra gli Angeli sostenitori e poi regolarmente aggiornamenti via mail sugli interventi portati avanti dall’UNHCR grazie anche al mio minuscolo contributo. Una bella sensazione.
E’ passato un anno ed è tornato il Natale. Essere un Angelo spero stia aiutando concretamente chi ha davvero bisogno, ma non ritengo abbia fatto di me una persona particolarmente migliore, visto e considerato che anche questa volta mi sono calata nell’atmosfera natalizia con sentimenti contrastanti e umore ballerino. Tuttavia non avevo messo in conto che per noi angeli-umani potesse esserci, forse, un Angelo vero, pronto a intervenire in nostro aiuto in caso di necessità.
Il mio deve aver sentito puzza di bruciato all’inizio di questa settimana, quando ormai rischiavo il burn-out da ufficio e relativo stress pre-natalizio. E’ venuto in mio soccorso sotto forma di mail. E’ qui, la voglio condividere con voi. Leggere la storia del piccolo Hamza, di soli cinque anni, che è finalmente riuscito a tornare a casa su dopo chissà quanto tempo trascorso in un campo profughi, è stato emozionante. Mi ha fatto sentire utile e viva. A conferma che il mio egoismo di un anno fa si è trasformato in un veicolo di felicità.
Buon Natale amici miei, siate egoisti!
3 risposte a “E’ Natale, siate egoisti!”
Barbara, è sempre un piacere
“leggerti”.
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Grazie Fabio! Tantissimi auguri!
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Non solo belle foto, ma anche un bel modo di scrivere , brava !
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