Il Valzer stonato

E’ passato oltre un mese dall’ultima volta che ho condiviso con voi i miei pensieri.
Un mese durante il quale ho combattuto contro la pigrizia, forse l’incapacità, di mettere nero su bianco il groviglio di insoddisfazioni che riempiva la mia testa. Un mese durante il quale mi ero persa, troppo concentrata a metabolizzare la crescente frustrazione sul posto di lavoro.

Ebbene, cosa può esserci di tanto brutto nel mio lavoro da farmi perdere a tal punto l’entusiasmo e la voglia di fare la cosa che più amo al mondo, fotografare e raccontare le mie foto? In fin dei conti il mio è il classico lavoro d’ufficio, i colleghi sono mediamente simpatici, il settore è interessante, ho contatti che si estendono dalla Cina al Brasile. Cosa posso pretendere più di questo?

E’ questa la domanda che mi ha tormentata incessantemente durante le ultime settimane, ma alla quale avevo inconsapevolmente già una risposta. Una e una sola. Il Rispetto.

Il rispetto della mia persona, della mia professionalità. Il rispetto per i miei colleghi. Il rispetto per l’azienda stessa.
Faccio parte di un grande gruppo industriale, ho quasi 5.000 colleghi sparsi su vari continenti. 5.000 persone con caratteri diversi, storie uniche e irripetibili, visi belli, brutti, anonimi, espressivi, in gran parte sconosciuti; colleghi che passano minimo otto ore sulle macchine a produrre produrre produrre produrre, mani sporche d’olio e i vestiti macchiati addosso a un microcosmo di emozioni e unicità; altri colleghi il cui unico scopo è quello di fissare il monitor del loro PC per l’intera giornata, per inserire dati, creare statistiche, fatturare fatturare fatturare fatturare.

Per la proprietà, nessuna di queste persone esiste veramente. Sono, siamo, un numero. Una pedina da spostare sulla scacchiera degli interessi di pochi o da mangiare quando non serve più, cancellando le precarie sicurezze che ci illudiamo di avere. Non conta quanto tu abbia dato in passato, quanti sacrifici tu abbia fatto, quanto entusiasmo tu abbia profuso per risolvere i problemi, quanto tu abbia contribuito al raggiungimento degli obiettivi. Oggi servi; domani non servi più. Nel peggiore dei casi non servi proprio più, allora via con cassa integrazione e mobilità; se sei fortunato magari non servi più qui, allora ti spostano là.  E’ come essere costretti a ballare un valzer suonato da orchestrali mediocri che non vanno neppure a tempo; dirige l’orchestra il Maestro Profitto.

Forse questa è la legge dell’economia globale. Sono troppo ignorante per dire se sia una cosa giusta o sbagliata. L’unica cosa che so per certo è che se non rispetti  la dignità dei tuoi collaboratori, non otterrai il massimo da loro e questo andrà a tuo svantaggio. A svantaggio del profitto che insegui così disperatamente.

Per quel che mi riguarda, grazie ma non ballo più.

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8 risposte a “Il Valzer stonato”

  1. Dal discorso del senatore Robert Kennedy 18 marzo del 1968: Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato alla eccellenza personale e ai valori della comunità, in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l’anno, ma quel PIL – se giudichiamo gli USA in base ad esso – comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini.Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.

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